
Pubblichiamo qui di seguito l’intervento della Brigata BASAGLIA
letto al corteo di Marco Cavallo libera tutt* per l’abbattimento dei CPR e contro la detenzione amministrativa, del 20 settembre 2025
Buongiorno a tutt*, siamo la Brigata Basaglia, un collettivo che si occupa di salute mentale con un approccio basagliano, radicale e conflittuale, e vorremmo condividere alcune riflessioni sui CPR.
La prima, su cui si fonda ogni nostra pratica e azione, è la convinzione che i CPR siano gli eredi dei manicomi, con cui condividono gli obiettivi di abuso, tortura, deumanizzazione delle persone rinchiuse.
Come per i manicomi 47 anni fa, non esiste nessun altro destino possibile per i CPR se non essere riconosciuti come istituzioni totali, luoghi di segregazione e controllo, lager inammissibili nella nostra società che, per questo motivo, devono essere immediatamente chiusi e mai più riaperti.
Se poi proviamo a pensare al tema della “salute mentale” nei CPR, ci accorgiamo come questa sia totalmente negata. Anche solo poter pensare di considerare una persona “idonea” alla permanenza in un CPR è contro i basilari principi di umanità e cura, di cui come professionisti sanitari dovremmo farci portatori. E’ sufficiente portare l’esempio dell’abuso di farmaci, ampiamente documentato, che è una forma di tortura sul corpo delle persone migranti.
Riconoscere la continuità delle pratiche neo-manicomiali nei CPR, come anche nelle carceri, è fondamentale per comprendere che non basta la chiusura dei luoghi, ma è necessaria una profonda riflessione sulle pratiche che in quei luoghi nascono e che vengono portate avanti dentro e fuori.
Non basta lottare per l’abbattimento dei muri, ma è necessario interrogarsi su cosa rimane dentro di noi: cioè uno sguardo e delle pratiche di stampo coloniale che impediscono alle persone di autodeterminarsi. La lotta per la chiusura dei CPR deve dunque essere accompagnata dalla critica all’assistenzialismo del terzo settore.
Dietro il linguaggio dell’aiuto e della protezione spesso sono sottintesi paternalismo, infantilizzazione e a volte anche sfruttamento. Lavori sottopagati o apparentemente ‘volontari’, corsi e mansioni decisi dall’alto, incasellamenti basati su genere e origine. Questi spesso non rappresentano strumenti di emancipazione, ma modalità per incanalare le persone in ruoli sociali già decisi dalla societá suprematista, classista e patriarcale.
Lo Stato, le istituzioni, chi dirige cooperative, associazioni e fondazioni del privato sociale -insomma chi detiene potere- sono per lo più bianchi, occidentali, spesso benestanti e si pongono come guida, come modello a cui la persona migrante deve adeguarsi, riproducendo quasi sempre la divisione dei ruoli e le gerarchie di genere. Queste pratiche non emancipano, ma riproducono le stesse gerarchie razziste e sessiste che giustificano detenzione e deportazioni, oltre a basarsi sullo sfruttamento di operatori e operatrici precarie e sottopagate. La retorica del ‘noi che integriamo’ e del ‘loro da salvare’ serve a legittimare lo status quo e a mantenere le persone in una condizione di dipendenza.
Eppure nei CPR e fuori da essi non mancano le resistenze quotidiane: chi rifiuta ricatti, chi protesta, chi rivendica la propria dignità. Per questo la solidarietà autentica non può consistere nel parlare al posto loro, né nel trattarli come vittime passive, significa piuttosto sostenere la loro forza e la loro capacità di lotta, riconoscendo in pieno la loro autonomia e soggettività contro frontiere, muri e stigmi.
Marco Cavallo è un simbolo di liberazione e di creatività, un simbolo che è stato riprodotto anche in altri contesti di violenza e abuso, come a Jenin, in Palestina, dove un cavallo è stato costruito con i resti delle armi usate da Israele per occupare, uccidere e annichilire. La lotta contro la violenza totale dei CPR é interconnessa con la solidarietà alla resistenza palestinese che si oppone alle politiche genocide e disumanizzanti dello Stato di Israele.
Occuparsi di salute mentale significa anche questo: rompere le regole attraverso la radicalità, la solidarietá internazionale e la creatività, vedere la possibilità di cambiamento dove sembra non esserci, trovare una strada per realizzare l’utopia. Come diceva Basaglia: “…iniziare a fare quello che ritenevamo impossibile…”.
Per farlo è necessario un cambiamento profondo, fuori, ma anche dentro di noi, un cambiamento che ci faccia stare scomodi nella nostra pelle e che ci trasformi per poter abbattere davvero tutti i muri.
Fuoco ai CPR!











